Alzheimer e demenza senile
In genere il termine Alzheimer caratterizza l’accellerazione della fisiologica e graduale riduzione di sostanza cerebrale che si manifesta con gli anni. In giovane età il peso medio del cervello è di circa 1400 grammi nell’uomo e di circa 1300 nella donna.
Dai 30 anni in poi comincia una graduale diminuzione del volume e del peso cerebrale con variazioni modeste fino a 60 anni e più significative negli anni successivi sino ad arrivare a riduzioni che possono arrivare al 20% ovvero fino a 100 grammi tra i 70 e i 100 anni.
Con l’età quindi, si manifesta un’atrofia generalizzata e simmetrica del cervello che induce una conseguente disfunzione cognitiva. Tale grado di atrofia corticale, può essere presente anche in individui intellettivamente normali. L’Alzheimer esagera questo normale esordio e può manifestarsi in due forme: una a evoluzione più rapida ed una ad evoluzione più lenta. Tuttavia, i disturbi connessi al volume della massa cerebrale e alle sue disfunzioni, possono insorgere sin dall’infanzia con conseguente presenza di disturbi del comportamento, dell’apprendimento, atrofie muscolari o manifestazioni epilettiche. Nell’età adulta ogni forma di demenza comporta anche disturbi del movimento.
Le demenze possono anche originarsi in seguito a danni della circolazione sanguigna di origine vascolare con conseguente danno anatomico della sostanza cerebrale, tale occorrenza prende il nome di demenza multinfartuale con deficit cognitivo progressivo. Tuttavia le manifestazioni cliniche possono variare a seconda della localizzazione e dal numero degli infarti. Infine ricordiamo come alcune demenze possono anche avere origine da intossicazioni come ad esempio nell’alcolismo cronico che induce una precoce atrofia della materia cerebrale con modesti deficit cognitivi e mnestici oppure nell’intossicazione dovuta a massiccia esposizione a metalli pesanti come il piombo, in questi casi i quadri clinici sono caratterizzati da deterioramento mentale, alterazioni del carattere e disturbi mnestici.
Il management dell’anziano sofferente
Le problematiche inerenti la gestione dell’individuo colpito da affezioni cerebrali hanno un origine antica ed erano già conosciute sin dai tempi freudiani con gli studi sulla “demenza praecox”. Ancora oggi, nonostante gli innegabili progressi farmacologici, si è ancora lontani dalla loro completa risoluzione. Non di rado il familiare più stretto dell’anziano affetto da tali disturbi, si deve sobbarcare dell’onere fornire il primo supporto terapeutico e ciò anche per il fatto che in Italia non vi sono sufficienti strutture terapeutiche atte alla gestione di tutti gli anziani sofferenti. Ogni progetto terapeutico ed assistenziale non può dunque prescindere dalla considerazione del carico altamente stressante che questa incombenza comporta per i familiari che si fanno carico dell’anziano sofferente. Per questa ragione si assiste ad un continuo proliferare di associazioni di parenti dei pazienti affetti da Alzheimer, che forniscono supporto sia morale che informativo a coloro che si prendono cura del paziente, si adoperano per verificare i problemi ed i bisogni che questa assistenza comporta.
Così, i problemi che più preoccupano i familiari del demente sono diversi da quelli che generalmente il medico prende in considerazione o comunque hanno un significato diverso, generalmente più pratico oltre clic emozionale; essi si preoccupano infatti dell’incontinenza del paziente, dei rischi a cui può andare incontro o che può provocare, dei problemi pratici di assistenza, ed i loro bisogni sono essenzialmente quelli legati allo stress indotto da un’attività prolungata e poco gratificante (necessità di turni di riposo, di partecipazione ad attività gratificanti, magari extradomestiche, di aiuto nelle faccende domestiche, di poter contare su strutture assistenziali che possano farsi carico del paziente magari per periodi limitati di tempo, di avere maggiori informazioni sulle modalità di cura e di assistenza, di poter comunicare con persone che hanno lo stesso problema, ecc..)
I problemi più gravi della demenza secondo i familiari
Recentemente sono anche apparse pubblicazioni rivolte ai familiari dei dementi nelle quali si illustra la malattia e si forniscono suggerimenti sia circa le modificazioni da apportare all’ambiente fisico in cui vive il paziente sia riguardo al comportamento più adeguato da tenere con lui. -Anche in ambito istituzionale la cura e l’assistenza del demente dovrebbe prevedere la presenza di uno staff di persone pienamente coscienti dell’importanza del loro ruolo, allenate alla tolleranza verso comportamenti noiosi e distruttivi, educate a svolgere un ruolo di incoraggiamento attivo nello svolgimento delle attività della vita quotidiana (igiene personale, abbigliamento, alimentazione…). L’ambiente stesso dovrebbe essere strutturato in modo da essere sicuro, confortevole, pulito, esteticamente piacevole e organizzato in modo tale da consentire sia un adeguato livello di privacy che l’interazione con gli altri.
Nel management del paziente non deve essere trascurata, infine, la riabilitazione. Gli sforzi riabilitativi devono tendere a ridurre, per quanto possibile, il gap tra il livello attuale di funzione psichica, psicologica e sociale e le reali capacità funzionali, e ad ottenere miglioramenti della psicomotricità, dell’umore, dell’attenzione. della memoria, dell’autocoscienza e della partecipazione sociale.
In un’ottica psicologica e sociale, sono stati proposti alcuni approcci terapeutici che privilegiano il livello comportamentale e relazionale; tra questi vogliamo ricorda- re la reality orientation therapy e la reminiscence therapy, che è in parte basata sulla RO. Tutte e due le terapie si propongono come obbiettivi principali il recupero di alcuni semplici schemi di relazione, il miglioramento della cooperazione nelle attività sociali, il tentativo di recuperare, per quanto possibile, una relazione con il inondo; queste tecniche sono primariamente rivolte alle persone dementi in stato confusionale ma vengono anche applicate in fasi cliniche di relativo compenso.
Con la RO si cerca di riorientare il soggetto attraverso stimoli rappresentati da giornali, fotografie personali e di ambienti, strumenti per misurare il tempo, e sottoponendo il soggetto anche a stimolazioni tattili, gustative, olfattorie.
La reminiscence therapy utilizza materiale audio e video ed ogni altro materiale documentario riguardante la biografia del paziente.
Sono state anche proposte tecniche di training psicosensoriale che mirano a coinvolgere l’individuo mediante stimolazioni che dalla persona si sviluppano nella direzione del contesto socio-familiare e tempo-spaziale. L’efficacia di queste modalità terapeutiche è discretamente documentata per quanto riguarda il loro impiego nelle fasi di scompenso; mancano invece studi controllati, peraltro di difficile esecuzione, per quanto riguarda le fasi di stato ed in particolare sull’influenza che questi trattamenti hanno sul decorso della patologia demenziale, soprattutto in confronto alle terapie mediche.
Comunque da evitare è il purtroppo frequente atteggiamento di rassegnazione terapeutica: a questo proposito, vale la pena di ricordare che Alexander Luria, a chi gli chiedeva che cosa si potesse fare per un paziente che aveva perduto la memoria e che «si comportava in maniera così incoerente da far dimenticare che potesse conservare un’anima», rispose: «poiché neurologicamente non si può fare nulla, trattatelo come una persona».